Gianfranco Ferlisi
Grazia Badari: la ricerca dell’Angelo, il messaggero dell’arte
Ogni ricerca di studio e comprensione di un percorso, di solito, parte dalla genesi, individua il punto di partenza, l’ispiratore originario: in questo caso, per Grazia Badari, l’origine è un territorio, Luzzara, come scrive Arturo Calzona, che conosce l’artista da molti anni e ne conosce bene l’evoluzione. Si parte dunque da Luzzara, la patria, con Cesare Zavattini della pittura naïf. È a Luzzara che nascono i primi disegni di Grazia, quelli che toccano storie delle sue radici, della sua giovinezza: opere ancora acerbe, forse, che tuttavia hanno il fascino di una felice malinconia. Segni e colori sono ancora impastati con i ricordi mentre il disegno parla del cuore. È una pratica pittorica esercitata in segreto, fissata su piccoli fogli di carta con matite o pastelli colorati, così sommessa che ha dovuto attendere qualche decennio prima che arrivasse a far maturare nell’autrice la convinzione che potesse sfociare in una vera vocazione artistica, piena di potenzialità. Svelarsi e rivelarsi: questo dunque il primo passaggio chiave, il primo segnale del “messaggero”. Ma solo dopo avere abbandonato l’insegnamento Grazia decide di frequentare corsi e accademia, per superare l’asticella delle sue insicurezze. E solo quando, finalmente, si accorge che riesce a vivificare i suoi personaggi, i paesaggi, gli animali, le superfici di carte e tele, praticamente il mondo che la circonda, comincia per lei la svolta verso una vera avventura estetica: siamo già all’inizio del nuovo millennio. In ogni caso, se la genesi del percorso di Grazia è stata lenta e meditata, l’evoluzione dell’ispirazione estetica diventa, al contrario, ricca di scelte e di trasformazioni: in soli vent’anni di ricerca la scoperta di un immediato linguaggio comunicativo riesce a comporre e a restituire sorprendenti progetti di novità, momenti di riflessione autentica sui temi che toccano la sua sensibilità, l’ambientalismo, il pacifismo, la carità, la giustizia sociale, la partecipazione alle dinamiche della comunità in cui vive. E poi c’è sempre, nella sua opera, una componente letteraria, la necessità di appropriarsi di un linguaggio connotativo più che denotativo, la voglia di tracciare un racconto. Nelle sue opere, anche in quelle astratte, si leggono le tracce di un interessante e costante di lavoro sul proprio e l’altrui vissuto esperienziale, con una scelta di narrazione che parla dell’universo autentico e forse mai soddisfatto - di chi ha creduto in prima persona agli ideali vissuti ma poco sopravvissuti del Sessantotto. Di qui l’esperienza qualitativa e intensa dei suoi cicli pittorici: alla freschezza della pittrice ispirata si aggiunge un’energia più forte, più efficace, più vissuta, più sentita, cresce con sempre maggiore consapevolezza la sua attenta filosofia del mondo. Grazia ora possiede un suo peculiare orientamento: riflette e, nel contempo, si diverte e scrive con la pittura, usa una sua personalissima tecnica, vuole esprimere un universo privato, in cui vengano bandite l’arroganza dell’uomo e le prevaricazioni. Il suo sforzo è a volte faticoso e si concentra spesso entro i limiti non sempre valicabili e carichi di vicende oniriche che fanno riferimento all’arte. Ma questo fa parte delle regole del gioco. Ormai dagli Studi all’astrazione, dai polimaterici al Filo del Po, dai filosofici agli arazzi, dagli informali alle terrecotte, la sua produzione, i suoi calligrammi, le sue inquadrature, barcollanti eppur sature di natura e di colore, i suoi scorci del Po si caricano di malinconie, di ricordi personali, di messaggi da cogliere e da trasmettere (ancora la ricerca di un Angelo?). A questo punto, come non mai, dipingere, per Grazia, significa saper porre, nel progetto, la testa, la fantasia, l’occhio e il cuore. E allora si comprende come le sue opere chiedano, innanzitutto, di essere guardate con la grazia della semplicità, la leggerezza di una libera osservazione, il sostegno della cultura, l’abbandono agli impulsi dei sentimenti: è il momento chiave in cui l’artista si 8 muove sull’impervio crinale in cui si incontrano interpretazione estetica e tensione lirica. Tuttavia è proprio tenendosi in equilibrio su questo crinale che si riesce a leggere il dipanarsi del percorso dell’artista e a far emergere il passato/presente/futuro della Badari: è così che se ne comprende non tanto, o non solo, la storia quanto la ricchezza, la potenzialità, l’eclettismo. È così che, in ogni studio che quest’artista affronta, compare forte il pathos, affiora un’interna musicalità, si sottintende il messaggio costante del sociale. Forse è proprio questo che Gilberto Cavicchioli, Marzio Dall’Acqua, Francesca Baboni e altri critici hanno colto e incoraggiato. E, a questo punto, vorrei suggerire anch’io, con queste brevi note, un possibile indirizzo di lettura e di comprensione dei multiformi aspetti dell’opera di Grazia. Inadeguato, a mio avviso, procedere per codificate definizioni dell’arte: le sue opere vanno lette in una sequenza ideale che l’artista racconta, a volte in modo chiaro e a volte sottinteso, ma sempre imbevuta di storia e di storie, quella sua e quella di altri: è un racconto visivo che si comprende se ci si lascia andare alle emozioni che la sua pittura propone. Nelle diverse fasi di questo racconto emozionale entrano, certo, combinazioni e varianti, che appartengono in modo specifico a momenti intimi dell’artista ma che è possibile cogliere nella leggerezza o decisione delle linee, nella tenuità o nell’intensità del colore. In questo modo si riconosce l’impulso che ha generato l’opera e che fa riferimento ad esperienze vissute sempre con passione, in cui si alternano lo sgretolamento di certezze e la forza di nuovi inizi. Al centro di tutto il percorso c’è l’artista, con le sue debolezze, la sua affascinante complessità, le tante icone-ricordo, la ricerca sempre insoddisfatta di nuovi limiti e di nuove elaborazioni. E c’è, particolarmente evidente, la ricerca del riscatto individuale, quasi un impulso e una volontà di rivincita per il tempo che corre e che a volte è perduto, l’aspirazione ad una rinascita ottenuta grazie all’arte. Questa scrittura per immagini, che si affida a una figurazione lucida, soprattutto al colore, ai toni dei bianchi lattescenti, dei rossi, dei blu, dei gialli, ora solari ora cupi, è perfetta per parlare dei piccoli e grandi temi di un’umanità sempre uguale e, quindi, anche di Grazia Badari: la condivisione della vita, della gioia, del dolore e della morte, le notti stellate e i tramonti minacciosi, le speranze e le paure, la terra, i paesaggi, le melodie o le minacce del vento quando trasporta i suoni che ha raccolto lontano, il rapporto tra l’uomo e il tutto, il senso, insomma, d’una esistenza che finisce e ricomincia, sapiente e faticosa, fatta di quiete e transumanze, di identità perdute e ritrovate. Nel contesto di una mostra che diventa quasi un’antologica di una vita espressa per immagini, Grazia ci affida la comunicazio- ne di una vitalità così straripante da lasciare intravvedere nuovi traguardi. Emerge, alla fine, nella Galleria del Premio, a Suzzara, ben documentato da un catalogo aggiornato e criticamente completo, un ulteriore significato che si affida a questa testimonianza sulla sua opera: che le opere, anche quelle racchiuse nella tenue levità di un foglietto, portano là dove le parole non arrivano. Perché si diventa veramente artisti quando si comprende che la pittura ha un valore aggiunto rispetto al linguaggio parlato, al di là del supporto e della dimensione. E perché ogni viaggio nel percorso espressivo di un autore supera i territori di ogni discorso di circostanza: la creatività è contemporaneamente espressione di un anghelos che illumina e di un demone che incenerisce. Cogliere il messaggio complessivo di questo anghelos è la sfida che l’arte da sempre propone ai suoi interlocutori.