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Arnaldo Maravelli
Suzzara, 2012

 

Se la critica ha ancora la funzione di riconoscere l’arte autentica di-stinguendola dalle tante mistifi-cazioni, io penso, senza ombra di dubbio, che Grazia Badari meri-ti di essere annoverata fra gli arti-sti che da una vita, e sempre con inalterata passione, coltivano il linguaggio dell’ espressione visi-va. Premessa, questa, che non sa-rebbe compresa se non fosse completata dalla constatazione che la sua produzione quantitati-va e qualitativa è talmente vasta e di qualità da meravigliare chi ab-bia la fortuna di conoscerla. Nel qual caso vedrebbe opere, quadri, sculture, pannelli, inci-sioni e lavori con altre tecniche che comprovano la serietà e l’im-pegno con cui coltiva da sempre il suo diritto ad appartenere alla sfera della creatività, di quella ca-tegoria di intellettuali, cioè, che contribuisce a produrre signifi-cati per l’ esistenza. E non guasta sapere che si può essere artisti continuando a vivere la propria vita normale, come madre (ha un figlio giovane, veterinario), come nonna di una bambina, Viola, di pochi anni, come moglie, come cuoca riconosciuta di grande va-lore, come insegnante. Grazia Badari viene da lontano. Già da ragazza disegnava e di-pingeva con notevole bravura ritratti, paesaggi, nature morte.
Da quei primi tempi la sua carriera artistica si è svolta all’insegna dell’impegno, del desiderio di conoscere, del sacrificio per accostare, sperimentare e usare tutte le tecniche, tutti gli strumenti, tutti i supporti e soprattut-to per piegarli ai propri bisogni di espressione e comu-nicazione. Chi sa quanto sia dura l’ avventura dell’ ar-te, sa anche quale tormento costi adattare la materia al-la forma che l’idea e lo spirito cerca di modellarvi. Lo sapeva bene Dante Alighieri quando nei suoi versi scolpì l’eterna fatica dell’artista: «Vero è che come for-ma non s’accorda / molte fiate all’intenzion dell’arte /perchè a risponder la materia è sorda».
La sordità della materia, sia essa segno, colore, lastra di metallo, tela o altro, può essere vinta solo con l’eserci-zio, ma soprattutto con l’amore. Ecco, questo si respi-ra in tutte le opere di Grazia Badari, l’amore per una vi-sione alternativa al banale quotidiano, la tensione verso la scoperta di sè e della propria interiorità, ma soprat-tutto della possibilità di estenderla in una forma comu-nicativa. Anche l’esperienza informale, che, nel suo ca-so, riporterei alla più propria definizione di «astrazione lirica», più calzante per l’aura poetica che ne promana, è da lei vissuta come una matura conquista di valoriz-zazione della materia e del gesto, tipica di questo indi-rizzo, ma con una cifra e impronta personali, come di chi, nella sua lunga vicenda umana e artistica, ha saputo beneficiare di un linguaggio più direttamente centra-to sul rapporto emozione-espressione, senza mediazio-ni o distrazioni della oggettualità.
Come dire che ogni moto dell’anima è in presa diretta col segno, con la forma, con il colore, col materiale pla-stico che si fanno tramite della coscienza e dell’inconscio del-l’artista. Anche se figure o sim-boli del reale riemergono talora e l’opera si carica della complessa sintesi di una convivenza dialet-tica di figurativo e astratto. Così che osservando attentamente e gustando i suoi lavori, si avverte la perfetta sintonia tra forma e contenuto, tra materia e spirito e se ne prova un sentimento di ele-vazione e sublimazione.
Segno e prerogativa inequivoca-bili di autentica artisticità perchè vissuta come ragione e scopo di vita. Senza trascurare il fatto che in questa sua personale visione dell’arte informale è anche pre-sente una volontà di riscatto di tale tendenza da quella che da molti critici è stata definita «stanca ripetitività dagli anni 60». Anche perchè la sua produ-zione non è incupita dalla condi-visione di correnti filosofiche ra-dicate nel primo e secondo do-poguerra (fenomenologia ed esi-stenzialismo) che avevano ispira-to l’informale in origine.